BIOGRAFIA DI PIETRO METASTASIO

Pietro Metastasio a Napoli (1719-1724), formazione ed avvio di una carriera straordinaria

 

Le biografie settecentesche di Metastasio ci riferiscono che, per lo meno fino alla stesura de Gli Orti Esperidi (1721), il poeta dovette dividere le ambizioni letterarie (quelle teatrali sopraggiungeranno presto, come vedremo) con l’apprendistato di avvocato presso lo studio del  giurista Giovanni Antonio Castagnola (peraltro anch’egli sensibile alle Muse, come testimoniano in molti, compreso Bruno Brunelli, autore, come è noto, dell’unica edizione critica completa, tra il 1943 e il 1954, dell’intero corpus metastasiano). Metastasio, quindi, segue i consigli postumi del maestro Gian Vincenzo Gravina, e addirittura, in qualche misura, percorre la sua stessa strada, contemperando, per vivere, la professione forense all’eletta attività di poeta.

Già a partire dal 1720, una nuova  strada, rispetto a quella del Gravina, si apre dinanzi a Metastasio così da consentirgli di abbandonare definitivamente la pratica di avvocato. Egli soprattutto scopre l’opportunità di fare accompagnare dalla musica le serenate o feste teatrali composte in occasione di matrimoni, compleanni e onomastici della nobiltà napoletana e della famiglia dell’imperatore d’Asburgo. Prima di abbandonare Roma, nei due anni immediatamente successivi alla morte del Gravina, si può forse leggere l’avvicinamento di Metastasio a Francesco Gasparini, maestro di cappella in S. Lorenzo in Lucina e in S. Giovanni in Laterano, come il tentativo di rendere cantabile, cioè musicabile, la sua poesia, con l’aiuto del famoso musicista e l’apprendimento di quest’arte. Fatto sta che l’Accademia dell’ Arcadia e il suo anti-marinismo non sono stati capaci di evolvere lo spettacolo pubblico di poesia, facendolo rivestire dalle note musicali, per lo meno nell’arco di tempo dalla partenza di Haendel per Londra e di Alessandro Scarlatti per Napoli, fino all’arrivo a Roma, circa alla metà degli anni Venti, dei Leo, dei Vinci, dei Sarro, ed anche del veneziano Vivaldi, chiamato al teatro Capranica dal concittadino cardinale Pietro Ottoboni. E’ comunque sintomatico che l’opera seria e i suoi grandi musicisti vengano introdotti a Roma quando l’esperienza metastasiana a Napoli di una rinnovata poesia per il teatro musicale avrà messo salde radici.

 A tutt’oggi non sono state trovate testimonianze dirette di Metastasio in grado di spiegare l’incontro della sua poesia con le note musicali. Le lettere del suo ricchissimo epistolario (pubblicato ancora dal Brunelli) non offrono confessioni o dichiarazioni d’intenti circa l’inizio dell’indissolubile intreccio collaborativo tra poesia e musica che avrebbe caratterizzato per sempre ogni produzione letteraria del nostro (fatta eccezione, ovviamente, per gli scritti e i commenti sulla tragedia greca, le poetiche di Aristotele e di Orazio, e i testi in prosa destinati, in generale, a forme di comunicazione corrente con il mondo). I biografi dell’epoca di Metastasio mettono in rilievo, a riguardo della sua scelta di comporre per il teatro musicale, l’influenza esercitata su di lui dalla grande cantante Marianna Benti Bulgarelli, la “Romanina”. Questa – com’è noto – conobbe il poeta essendo stata invitata dalla corte del vicere di Napoli a dare la sua voce nella parte di Venere per Gli Orti Esperidi (1721). Probabilmente, però, già prima di questo fortunato matrimonio d’arte (e non solo) con Marianna Benti Bulgarelli  (esaltato soprattutto dalla collaborazione per la Didone abbandonata nel 1724, il primo melodramma che conferisce subito uno straordinario successo e fama imperitura all’autore )  già l’ Endimione aveva probabilmente consentito l’incontro tra il poeta e la cantante.  La favola pastorale scritta da Metastasio nel 1720 per onorare, dopo la composizione del già ricordato Epitalamio, le nozze di Antonio Pignatelli di Belmonte con Anna Pinelli di Sangro, fu rappresentata nella primavera del 1721, alcuni mesi prima de Gli Orti Esperidi, probabilmente con le musiche dell’ormai anziano ma famosissimo  Alessandro Scarlatti. Il successo arriso alla festa teatrale, ottenuto grazie anche all’apporto del sempre ornato e suggestivo stile musicale di Scarlatti, fu introdotto dalla dedica di Metastasio a Marianna Pignatelli d’Althann, parente dello sposo, cognata del futuro vicere di Napoli, Michele Federico d’Althann. Sia Alessandro Scarlatti sia Marianna d’Althann erano in relazione di amicizia con la “Romanina”, e il fatto rende possibile l’ipotesi o che il successo dell’Endimione abbia indotto a fare ricadere su Metastasio l’incarico a comporre Gli Orti Esperidi (1721), ovvero che proprio  la cantante abbia presentato il vecchio Scarlatti al giovane poeta , e abbia poi addirittura consigliato quest’ultimo a dedicare il libretto a stampa alla contessa Marianna d’Althann. Un’altra festa teatrale, l’Angelica (scritta e pubblicata dal poeta nel 1720, ma messa in scena e in musica nel 1722) si contende con l’Endimione il ruolo di prima azione teatrale scritta a Napoli da Metastasio. Niccolò Porpora, giovane e già rilevante esponente dell’ultima generazione dei musicisti napoletani mise le note sotto i versi sia di Angelica sia de Gli Orti Esperidi. La collaborazione con il Porpora -  (decisa per Gli Orti Esperidi dall’autonoma scelta del vicere Marc’Antonio Borghese, accompagnandola  a quella per il cantante Carlo Broschi “Farinelli”, il “gemello adorabile”dell’intera vita di Metastasio) - fu di rilevante importanza per Metastasio, poiché, nel fare artistico, gli consentì l’opportunità di verificare le corrispondenze tra metrica poetica e metrica musicale, fruendo della lezione e della grande esperienza di uno tra i maestri di canto dell’ultima generazione dei musicisti napoletani. Comunque sia stata avviata, e da chi precisamente, l’interazione tra poesia e musica nell’esordio napoletano di Metastasio,  denota il ruolo rilevante già attribuito al giovane poeta romano da parte dell’aristocrazia napoletana. Questa, infatti, incarica uno tra i più rinomati maestri di canto musicale a porre le sue note sotto i versi del nostro, affinché nulla sia lasciato al caso, e tutto invece possa apparire come un’operazione artistico-culturale in cui è preminente l’opportunità simbolico-rappresentativa della nobiltà di proporsi come benefica dispensatrice di doni materiali -  (cibarie, elargizioni in denaro, processioni in pompa magna delle classi dominanti al completo) -, per le occasioni festive cui anche il popolo minuto è chiamato a partecipare, godendo dei beni immateriali del teatro musicale. Si vuole così che l’imperatore Carlo VI venga rassicurato che a Napoli un clima sociale sereno e collaborativo è subentrato al lungo, tetro e conflittuale periodo della dominazione spagnola.  La realtà storica effettuale, in verità, fu ben diversa, per lo meno a riguardo dell’indirizzo politico seguito da Carlo VI nel governo di Napoli. L’imperatore, non dimentico dell’esperienza in Spagna che lo aveva visto contendere a Filippo V il trono della penisola iberica e dei suoi domini americani, fino alla pace di Utrecht (1713), aveva condotto al suo seguito, a Vienna, un congruo numero di consiglieri che lo avevano servito alla corte di Barcellona. Fu anche per “merito” di questi che le magistrature napoletane e i complicati meccanismi di reggenza tardo feudale della città non solo non vennero rinnovati, ma subirono ancora l’influenza nepotista e frenante degli antichi interessi costituiti attorno al polo e all’alleanza tra clero e grande proprietà della Chiesa, da una parte, e i tradizionali privilegi della nobiltà terriera di nomina e derivazione spagnola, dall’altra.

Oltre, quindi, al rapido accenno di Metastasio nella lettera al d’Aguirre a proposito dell’assenza di una Corte a Napoli, in grado di indirizzare con mano sicura indifferibili scelte politiche, proprie di una città dominante, sono i rapporti irrisolti con le magistrature cittadine, la Chiesa (in particolare), e la nobiltà filo-asburgica in attesa di ruolo, a rinviare sine die  la realizzazione di riforme politiche e sociali degne del Sacro Romano Impero germanico. Infatti, tutto farebbe ritenere che la  potenza cattolica dominante in Europa, tra fine Seicento e primo decennio del Settecento antemurale e barriera insuperabile per l’espansionismo islamico dell’Impero Ottomano nell’Europa della grande tradizione post-romana, possa dare finalmente a Napoli un assetto politico-giuridico fondato sulla certezza delle leggi, garantita da un’indiscussa ed unica autorità centrale. Ma, figure di dignitari come il marchese de Figuerola, al servizio dell’imperatore fin da quando questi teneva corte a Barcellona come re di Spagna, riescono da Vienna a riservare ancora a clero e nobiltà napoletana privilegi finanche nell’esercizio delle magistrature cittadine, inibendo una reale e progressiva trasformazione dello Stato.

 

Tutto ciò nonostante, l’insegnamento teorico-politico del Gravina sulla suprema romana autorità del Cesare, già trasfuso dall’allievo nel primo dramma giovanile Giustino, trova a Napoli la temperie politica e sociale più idonea, affatto unica ed eccezionale, affinché Metastasio possa rappresentare la coincidenza tra attese eterogenee e la sua ricerca di una poesia universale veicolata attraverso il teatro musicale, lo spettacolo più diffuso ed acclamato del tempo.

Nella festa teatrale Gli Orti Esperidi, commissionata a Metastasio dal principe romano Marc’Antonio Borghese, vicere di Napoli, antico amico sia del Gravina che del discepolo prediletto, l’occasione festiva di celebrare l’onomastico dell’imperatrice Elisabetta Cristina, dà modo di disegnare attraverso le figure mitologiche di Marte e Venere, Adone ed Egle, i caratteri e le passioni cittadine di uomini e donne non più dominati da stereotipi e ruoli ancestrali nella diuturna battaglia dei sessi. Venere si prende gioco del terribile Marte, dio della guerra e di una violenza irrefrenabile, fino a condurlo, pur di non apparire in tutta la sua rozzezza, a sottomettersi e ad accettare gli amori di Adone e di Egle, la ninfa esperide, mentre Palemone, dio marino assiste impotente alla rete di menzogne ordite dagli innamorati  a danno di Marte e suo, con Venere nella veste di colei che offre la sua protezione per la vittoria dell’Amore sulla violenza e la rozza informe naturalità di Marte. Una favola pastorale, di sapore e gusto prettamente arcadici, si tramuta in un insegnamento di nuovi civili costumi di vita, in cui la donna tende ad assumere, nei rapporti sociali della città, un ruolo autonomo e indipendente, capace di gestire l’attrazione suscitata negli uomini per esercitare i propri diritti di individuo e di essere amante.

La favola pastorale, perciò, rimanda e rinvia alle attese di dismissione di usi e costumi propri del mondo contadino, rivolte dal ceto dei sapienti – nobili e/o letterati che siano – all’informe mondo dei popolani - i napoletani “lazzari”- perché abbandonino superstizioni, riti e miti magici, assecondati spesso da un clero anch’esso ignorante e superstizioso, e partecipino ai processi di incivilimento emergenti nella città ad opera della borghesia e dell’aristocrazia intellettuale.

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BRUNO BRUNELLI, frontespizio dell'edizione critica

PIER LEONE GHEZZI, Francesco Gasparini

POMPEO BATONI, Ritratto di Leonardo Leo

PIER LEONE GHEZZI,  Marianna Benti Bulgarelli

PIER LEONE GHEZZI, Marianna Benti Bulgarelli -  caricatura

Marianna Pignatelli d'Althann

PIER LEONE GHEZZI, Antonio Vivaldi - caricatura

Antonio Vivaldi

Frontespizio del libretto dell'azione sacra: "Per la festività del SS. Natale" (Metastasio - Costanzi), Roma, 1727-28

         

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LEO VINCI, La contesa de' Numi, Aria della Fortuna