Orchestra

Il MOS Ensemble

I musicisti del MOS Ensemble, Metastasio Opera del Settecento, propongono le esecuzioni di opere della grande tradizione del teatro musicale italiano ed europeo, sviluppatasi con l’attività poetica ed artistica di Pietro Metastasio. L’attività dell’Orchestra denominata MOS Ensemble non potrebbe essere più chiaramente definita quanto ai suoi scopi, e alle sue ambizioni,  nel riproporre al pubblico dei nostri tempi, l’esecuzione di partiture musicali lasciate inerti in archivi e biblioteche per un periodo di tempo così lungo da farne dimenticare l’esistenza talvolta persino a storici della musica e ad interpreti.
Per definire in forma propria metodi e fini del MOS Ensemble rispetto alle numerose e benemerite compagini orchestrali che in Italia, in Europa, e dappertutto nel resto del mondo, si dedicano prioritariamente e pressoché esclusivamente alla musica del Settecento (con rimarchevoli risultati artistici), è opportuno rilevare che l’orchestra nata con l’esperienza delle Celebrazioni per il 3° Centenario della nascita di Pietro Metastasio intende ricomporre, con le sue esecuzioni, l’unione tra poesia, canto, scena teatrale e musica, appunto, come fondamento unico e peculiare dell’opera italiana del Settecento, identificantesi, tout-court, con la drammaturgia musicale del Poeta Cesareo.
La definizione e precisazione dei compiti e fini del MOS Ensemble  può essere riassunta dai seguenti quesiti. (Ad essi – ça va sans dire  –  l’orchestra del Settecento intende fornire esaurienti risposte nella sua pratica interpretativa).

Come è possibile garantire il rispetto, ovvero salvare la cantabilità, dei versi di Metastasio, metricamente disposti dal poeta per l’intonazione musicale?
Quale ruolo esecutivo e interpretativo della partitura da parte dei musicisti può consentire la valorizzazione del canto-declamazione?
Quale e che tipo di prassi esecutiva è in grado di fare risaltare la “gabbia” metrico-musicale, predisposta da Metastasio per obbligare i compositori (soprattutto fino alla prima metà del Settecento) nel seguire (ed accompagnare, come allora si diceva) l’andamento, ovvero il ritmo poetico dello sviluppo delle passioni, dei sentimenti, dei valori-virtù dei personaggi dei drammi?  
Quale ruolo spetta all’attuale interpretazione musicale quanto alle innovazioni compositive dei testi poetici metastasiani,  proposte a partire dagli Jommelli, Gluck, sino a  Mozart, citando, come esempi, solo che una parte di coloro che progressivamente e costantemente si liberarono della predetta “gabbia” metrico-musicale del Poeta Cesareo, riuscendo peraltro e comunque a conferire al senso comunicativo originario dei versi nuova forma espressiva musicale?  
La messa in musica dei versi del poeta da parte di compositori che, da Leo Vinci, nei primi trent’anni del Settecento, arriva nel secolo successivo ai Beethoven, Meyerbeer e Glinka, istituiva una dialettica tra la semantica dichiarativa e dimostrativa della poesia e l’auto referenzialità della musica?  
In termini semplici, i musicisti nel lungo attraversamento stilistico della loro storia misero in luce, comunque e sempre, una precisa e diversa lettura del testo poetico metastasiano, conferendo a questo un’aura che, in qualche modo, era da questo promossa ed ispirata. In che cosa, quindi, oggi consiste l’interpretazione che prolunga e protende l’indicibilità poetica nella creazione musicale?  
Il musicista che reintepreta la creazione compositiva deve, e come?, tenere conto e leggere, cioè conoscere, il testo poetico di Metastasio, e come ad esso deve e può riaccostarsi, così come era prassi comune per i compositori del Settecento, ed anche, e con quale diversità di approccio, per i musicisti dell’Ottocento, ai quali la lunga durata del non mutato verso metastasiano non sembrava porre problemi insormontabili?

Se si rammenta che drammi come Didone abbandonata e Artaserse, composti da Metastasio nel suo periodo italiano, rispettivamente il primo a Napoli nel 1724, il secondo a Roma nel 1730, hanno ricevuto il record assoluto di intonazioni nella storia della musica, circa ottanta da altrettanti compositori, non può stupire più di tanto che L’Olimpiade, considerato da molti critici il suo capolavoro, sia stato messo in musica, dopo Antonio Caldara, a Vienna nel 1733, da questi compositori, tra il 1734 e il 1829:                                              
Antonio Vivaldi (Venezia 1734)
Giovan Battista Pergolesi (Roma 1735)
Giuseppe Ferdinando Brivio (Torino 1737)
Giuseppe Maria Orlandini (Firenze 1737)
Leonardo Leo (Napoli 1737)
Domenico Alberti (Madrid 1737)
Francesco Corradini (Madrid 1745)
Giuseppe Scarlatti (Lucca 1745)
Ignazio Fiorillo (Venezia 1745)
Giuseppe Scolari (Venezia 1747)
Giovan Battista Lampugnani (Firenze 1748)
Baldassarre Galuppi (Milano 1748)
Pietro Pulli (Modena 1751)
Gaetano Latilla (Venezia 1752)
Davide Perez (Lisbona 1753)
Niccolò Logroscino (Roma 1753)
Francesco Uttini (Copenhagen 1754)
Egidio Romualdo Duni (Parma 1755)
Giovanni Adolfo Hasse (Dresda 1756)
Giuseppe Carcani (Mantova 1757)
Carlo Monza  (Milano 1757)
Tommaso Traetta (Verona 1758)
Gregorio Sciroli (Venezia 1760)
Niccolò Jommelli (Stoccarda 1761)
Vincenzo Manfredini (Mosca 1762)
Pietro Guglielmi (Napoli 1763)
Antonio Sacchini (Padova 1763)
Domenico Fischietti (Praga 1763)
Andrea Bernasconi. (Monaco 1764)
Floriano Leopoldo Gassmann (Vienna 1764)
Tomaso Augusto Arne (Londra 1765)
Ferdinando Bertoni (Venezia 1765)
Giovanni Zannotti (Modena 1767)
Niccolò Piccinni (Praga 1768)
Pasquale Cafaro (Napoli 1769)
Johann Christian Bach (Vienna 1769)
Pasquale Anfossi (Venezia 1774)
Luigi Gatti (Salisburgo 1775)
Giuseppe Sarti (Firenze 1778)
Antonio Rossetti (Milano 1778)
Giuseppe Myslivecek (Napoli 1778)
Francesco Bianchi (Milano 1782)
Giovanni G. Schwanberg (Brunswick 1782)
Gaetano Andreozzi (Pisa 1782)
Domenico Cimarosa (Vicenza 1784)
Giovan Battista Borghi (Firenze 1785)
Giovanni Paisiello (Napoli 1786)
Ambrogio Minoja (Roma 1788)
Vincenzo Federici (Torino 1790)
Giovanni Reichardt (Berlino 1791)
Angelo Tarchi (Roma 1792)
Marcello Perrino (Napoli 1795)
Michele Arditi (Napoli 1800)
Carlo Conti (Napoli 1829)

L’elenco di queste 55 intonazioni del capolavoro metastasiano – ancora provvisorio e non definitivo – pone un altro problema agli esecutori dei nostri giorni e, naturalmente, al MOS Ensemble. Esso può essere così riassunto:  l’organico orchestrale, non solo nelle esecuzioni alla corte di Vienna ma anche a Roma al Teatro Capranica, nello juvarriano Teatro Ottoboni al Palazzo della Cancelleria, al Teatro delle Dame, dotato di un cospicuo numero di musicisti (molto più rilevante di quanto oggi si ritiene di attribuire alle cosiddette “orchestre barocche”),  rispondeva a precise esigenze non solo acustico-musicali, quanto soprattutto alla misura estetico-spettacolare, alla solennità delle esecuzioni, alla particolare occasione per la quale l’opera italiana costituiva la produzione di senso e significato artistico, culturale e sociale.
La stessa diversificazione dell’organico orchestrale, perciò, non può che rispondere a precise indicazioni storico-critiche, ricavabili non solo dalle testimonianze dei compositori che nel tempo misero in musica la poesia per musica di Pietro Metastasio, non solo dai desiderata della corte imperiale, dei committenti delle imprese teatrali private, ma anche dalla funzione artistico-espressiva richiesta dall’autore, attraverso la sapiente interazione tra poesia, musica e scena (scenografia e architettura teatrale), in grado di rappresentare con tutti i suoi effetti di enfatizzazione comunicativa il concorrere dei linguaggi artistici all’allestimento dell’opera per musica.  
L’edizione critica, quindi, sia delle partiture musicali sia dei libretti, si offre nella doppia valenza di fornire elementi critico-storici all’interpretazione musicale, variando la stessa compagine e composizione orchestrale a riguardo delle variabili storico-sociali e stilistiche anzidette, e in quella di ponte comunicativo per il pubblico del nostro tempo, oramai da troppo tempo abituato ad accettare passivamente come naturale la rigida divisione proposta tra l’opera lirica dell’Ottocento, dotata di grandi organici orchestrali – rispondenti alla temperie romantico-passionale –, da una parte, e il melodramma settecentesco, dall’altra, in grado di proporre soltanto contenute, aristocratiche se non esangui, manifestazioni di sentimenti.
All’edizione critica delle partiture, quindi, faranno puntuale riferimento i musicisti del MOS Ensemble, per realizzare le interpretazioni che, avvalendosi preferenzialmente di strumenti d’epoca, non affidino ad essi, quasi fideisticamenete e meccanicamente, l’obiettivo della cosiddetta esecuzione filologica, essendo questa il frutto di una composizione di apporti ricostruttivi (poetici, musicali, trascrittivi, critico-editoriali), più che espressione, soltanto ed esclusivamente, dell’abilità-versatilità tecnica del musicista d’oggi nel riproporre, sic et simpliciter, il suono musicale degli strumenti settecenteschi.

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