MARIO VALENTE

Le invisibili ombre di un Mito
Conoscenza e ruolo fondamentale della Scuola musicale napoletana nel Classicismo musicale
(Napoli, 28-31 ottobre 2014)

Pietro Metastasio e la scuola musicale napoletana
per la storia di una reciproca fedeltà

Il ruolo di Pietro Metastasio riguardo all’influenza esercitata dalla scuola musicale napoletana sul Classicismo viennese è strettamente legato alla sua funzione di Poeta Cesareo a Vienna, a seguito della nomina da parte dell’imperatore Carlo VI già alla fine degli anni Venti del Settecento, carica assunta da Metastasio nella primavera del 1730.

Giuseppe Ceracchi, Busto di Metastasio (Campidoglio, Roma)È importante fare notare che se pure è vero che la diffusione e la conoscenza in tutta Europa delle composizioni di musicisti come Niccolò Porpora, Leo Vinci, Giambattista Pergolesi, Leonardo Leo, Johann Adolph Hasse nella prima metà del XVIII secolo percorre le strade peculiari dell’arte tonale, proprie degli intensi scambi tra i diversi centri in Europa, scambi assecondati e favoriti sia dalle pubblicazioni delle partiture sia anche, se non soprattutto, dal lavoro instancabile della riproducibilità di questo linguaggio dell’arte da parte di un vero e proprio piccolo esercito di copisti, sarà decisiva per il ruolo pubblico presso le diverse corti d’Europa, realmente occupato dai musicisti di scuola napoletana, la funzione, il prestigio e la fama via via acquisite da Pietro Metastasio sul palcoscenico viennese, il centro politico ed artistico più rilevante in Europa centrale, sul quale palcoscenico, dal 1730 al 1782, anno della sua morte, egli godrà di un’autonomia artistico-culturale all’interno del sistema tardo feudale del Sacro Romano Impero Germanico a pochissimi altri personaggi delle arti e dell’intellighenzia concessi in quel secolo.

      

Leo Vinci (a sinistra), Johann Adolph Hasse (a destra)

Infatti, la predilezione e collaborazione avviata da Metastasio prima di tutto a Napoli con i maggiori compositori della scuola napoletana dal 1719 al 1724 contribuirà in modo determinante ad accrescere e a rendere stabile quella sorta di egemonia sul teatro musicale in Occidente, se è vero come è vero che al periodo giovanile napoletano seguirà quello altrettanto importante, seppure più breve, della fondamentale esperienza romana come vero e proprio impresario del Teatro delle Dame (ex-Alibert) dal 1727 al 1730, in simbiosi artistica con Leo Vinci e Marianna Benti Bulgarelli.  

Il completo successo e il decollo a Roma del melodramma metastasiano sulla scena dello spettacolo di massa del tempo costituiscono perciò il passaporto per l’affermazione in tutta Europa sia dell’opera per musica di Metastasio sia dei compositori napoletani che hanno intonato i versi del poeta romano.

I nomi dei compositori, ben noti a tutta la storiografia musicale degli anni Venti e Trenta del Settecento, come ho prima già ricordato, rispondono oltre a personalità come quelle di Niccolò Porpora, di Alessandro e Domenico Scarlatti, soprattutto a quella di Leo Vinci, la cui collaborazione con la poesia per il teatro musicale di Metastasio, copre sia il periodo napoletano sia quello di Roma, concludendosi, purtroppo, proprio nel 1730, pochi mesi dopo la partenza definitiva del poeta alla volta di Vienna, con la improvvisa e in qualche modo misteriosa morte del musicista di Strongoli.

Il rapporto di stretta e diretta collaborazione tra i musicisti di scuola napoletana e Pietro Metastasio va integrato con le intonazioni dei drammi del Poeta Cesareo cui, in tutta la sua vita, metterà mano Johann Adolph Hasse, sassone, ma appartenente di diritto e formazione alla scuola musicale napoletana, e con quelle di G.B. Pergolesi e di Leonardo Leo.

      

Pompeo Batoni, Ritratto di Leonardo Leo (a sinistra) - Ritratto di G.B. Pergolesi (a destra)

Sia le musiche di Hasse che quelle di Pergolesi e di Leonardo Leo, composte sui drammi di Metastasio prescindono, specie per il secondo e per il terzo, da un diretto rapporto di collaborazione artistica con il poeta, sia nella fase napoletana sia in quella romana, mentre con l’Hasse le intese per vie indirette si faranno via via sempre più forti sino all’affidamento al sassone dell’intonazione del dramma Attilio Regolo (Dresda, 1750), l’opera che segna (e in parte conclude) l’acmé della funzione didascalico-etico-politica degli Asburgo così come Metastasio ha voluto rappresentarla lungo il decennio 1730-1740. Sia le musiche di Pergolesi sia quelle di Leonardo Leo sono determinanti per capire l’estendersi di una vera e propria egemonia artistico-culturale del dramma per musica italiano e di scuola napoletana in tutta Europa fino al manifestarsi del classicismo viennese nella parte conclusiva del XVIII secolo.

Occorre infatti considerare che, nonostante Metastasio sia stato obbligato dalla corte viennese e dagli imperatori Asburgo a servirsi per le intonazioni dei suoi drammi, feste teatrali e oratori dei musicisti di corte Caldara, Reutter, Porsile, Bonno, Gassmann fino a Salieri, il nucleo estetico-emozionale sfocerà ed entrerà in fusione con gli stilemi musicali propri del classicismo viennese degli Haydn, Mozart, Beethoven e Schubert, grazie sì alla varietà creativa ed interpretativa appunto della scuola musicale napoletana, ma in virtù, anche, dell’organismo poetico metastasiano, razionalmente strutturato attraverso il mirabile alternarsi dei recitativi, in funzione narrativa, con le arie rivolte ora ad espandere e rafforzare le pulsioni delle passioni e dei sentimenti, ora a creare una sapiente e misurata presa di distanza dai tumulti dei moti del cor. (È bene comunque ricordare che Giuseppe Porsile e Giuseppe Bonno, maestri di cappella alla corte viennese, furono bene accetti a Metastasio, se non da lui stesso scelti, provenendo anch’essi per studi e formazione dalla scuola musicale napoletana).

Sarebbe già semplice dimostrare la reciproca interazione tra poesia e musica nell’opera di Metastasio, quale modello di riferimento per la Wiener Klassik, ricordando quale influenza abbia esercitato, ad esempio sulla formazione musicale di Joseph Haydn, per la stessa ammissione di questi, la lezione di Niccolò Porpora nel suo passaggio a Vienna negli anni Cinquanta del Settecento, allorchè Porpora dando lezioni di canto e musica nella casa viennese di Metastasio alla giovanissima Marianna Martinez, figlioccia del Cesareo, si faceva aiutare da Haydn nell’accompagnare al cembalo le prove musicali della fanciulla sulle sue partiture, mentre andava severamente rimbrottando lo stesso Haydn spesso incapace di intendere ed eseguire correttamente i passaggi contrappuntistici e di accompagnamento delle musiche.

Così Albert Christoph Dies, pittore paesaggista, inviato dal principe Nikolaus Esterházy a raccogliere dal vecchio Haydn a Vienna le memorie della sua vita, registra e trascrive l’apprendistato del musicista di Rohrau presso l’ormai anziano Porpora:

Niccolò Porpora

Ricordai a Haydn la sua soffitta e volli sapere come riuscì ad andarsene [nella soffitta della Michaelerhaus, sopra casa Metastasio, pioveva e le coperte e gli indumenti erano spesso zuppi, n.d.r.]«Feci la conoscenza del famoso maestro di cappella Porpora, le cui lezioni erano molto richieste e che, forse a causa dell’età, cercava un giovane assistente, e lo trovò nella mia persona. Tra gli allievi c’era una giovane fanciulla tra i sette e i nove anni. Il famoso Metastasio era il benefattore della madre e della figlia, a cui faceva dare lezioni di canto da Porpora a proprie spese»

La Grosses Michaelerhaus e la Michaelerkirche in una stampa del 1750. In questa casa Metastasio visse cinquantadue anni e qui Burney visitò il Poeta cinque volte.

Per queste lezioni il vecchio Porpora si servì del giovane Haydn, il quale si assunse con gioia l’incarico, […] e fu assai felice di guadagnare due fiorini al mese. Porpora insegnava il canto alla ragazza e Haydn, che accompagnava al cembalo, ebbe una preziosa occasione di conoscere a fondo e di praticare il metodo italiano sia nell’accompagnamento sia nel canto. Porpora esigeva assoluta obbedienza da Haydn, il quale sopportava con pazienza tutte le sue sfuriate e umilmente taceva quando quello gli urlava «Bestia! Coglione! Asino D’estate, quando doveva accompagnare Porpora in campagna, addirittura gli lucidava le scarpe. Tollerava tutto volentieri, perché da quell’uomo imparava molto. Il destino di Haydn parve prendere una svolta favorevole. Conobbe Metastasio, che gli diede utili consigli e nella cui casa Haydn apprese in fretta la lingua italiana. (A. Ch. Dies, Notizie biografiche su Joseph Haydn/ redatte e pubblicate/ in base ai suoi racconti orali, in Haydn Due ritratti e un diario, a cura di A. Lanza e E. Restagno, EDT, Torino 2001, p. 91).

Joseph Haydn

Ma ciò che potrebbe assumere una mera valenza aneddotica per il rapporto tra scuola musicale napoletana-Metastasio e Haydn l’alfiere-portabandiera del classicismo viennese, trova poi un riscontro rilevante nel lungo periodo passato dal musicista alla corte del principe ungherese Esterházy a Ŝopron, al cui servizio egli non solo era chiamato a comporre e fare eseguire sue musiche originali ma anche quelle di compositori di scuola napoletana come, tra gli altri, Porpora, Jommelli, Piccinni ed Anfossi, così come testimoniato dalle loro partiture annotate dallo stesso musicista di Rohrau presenti nella mostra permanente del castello di Esterháza, nella cui biblioteca, peraltro, non sorprenderebbe affatto ritrovare, finalmente, le musiche manoscritte o in copia di Andrea Luchesi…solo si avesse la pazienza e la cura di cercarle.

Castello Esterházy-Fertòd

Ma occorre tornare a Niccolò Porpora per ricordare che la fortuna di Pietro Metastasio a Napoli e la collaborazione con la scuola musicale napoletana ebbe inizio con quegli Orti Esperidi, festa teatrale commissionata al futuro Poeta Cesareo dal Vice-Re di Napoli, Marc’Antonio Borghese, per celebrare il 28 agosto il compleanno di Elisabetta Cristina, moglie dell’imperatore Carlo VI d’Asburgo, in cui esordì sulle scene giovanissimo Carlo Broschi “Farinelli”, allievo del Porpora nel canto. Proprio Niccolò Porpora mise in musica la festiva composizione. “Farinelli” sarebbe divenuto il sopranista più famoso del XVIII secolo, richiesto da tutte le corti d’Europa, l’amico inseparabile di Metastasio per tutta la vita.

Nella parte di Venere, Porpora chiamando ad interpretarla Marianna Benti Bulgarelli “La Romanina” favoriva l’inizio di un lungo sodalizio artistico e sentimentale che avrebbe consentito a Metastasio l’esordio nel melodramma con Didone abbandonata, portato ad inaudito successo al Teatro San Bartolomeo di Napoli nel carnevale del 1724 con le musiche di Domenico Sarro e con la straordinaria interpretazione della stessa “Romanina” nella parte della tragica regina virgiliana.

«Marianna Benti detta la Romanina cantatrice e moglie di Bulgarelli; feci questo stesso medesimo disegno in medaglia per mandarlo in Inghilterra. Il Cav. Ghezzi, il dì 14 Luglio 1728»

La collaborazione tra Metastasio e Niccolò Porpora avrebbe avuto un seguito nel 1726 a Venezia con la messa in musica del Siface, libretto rielaborato quasi completamente da parte del poeta romano su un precedente testo di Domenico David, La forza della virtù, dopo essersi ispirato e avere rielaborato anche un altro libretto dello stesso David, Creonte tiranno di Tebe. “Il raffazzonamento del raffazzonamento” – come ha giustamente osservato Lucio Tufano in Il melodramma di Pietro Metastasio…a cura di A. Caira Lumetti e E. Sala Di Felice, Roma, 1998, p. 197 – aveva l’effetto di raggelare pressoché per sempre la stretta intesa tra il compositore napoletano e il futuro Poeta Cesareo, in considerazione di una sorta di tributo versato da quest’ultimo, quasi obtorto collo, ad un’eredità di genere e stile arcadica, più consona al Porpora che non ormai al poeta romano che, sempre a Venezia, dopo avere rinverdito il successo di Didone abbandonata al S. Cassiano, rivista in molte arie  e recitativi e messa in musica  da Tomaso Albinoni), nello stesso 1726 componeva per il Teatro S. Giovanni Grisostomo della famiglia Grimani, Siroe re di Persia con le musiche di Leo Vinci.

Teatro S. Giovanni Grisostomo, Venezia

Sia nel primo melodramma sia nel Siroe, le parti della protagonista femminile vedevano Marianna Benti Bulgarelli contribuire potentemente al pieno successo di entrambe le messe in scena. Il protagonismo artistico di Niccolò Porpora non gli avrebbe impedito altre intonazioni dei drammi di Metastasio negli anni immediatamente successivi, prima della partenza per Vienna –  (capitale della Mittel-Europa in cui sarebbe tornato più volte) –, ed infine per Londra dove avrebbe esportato con la sua grande conoscenza e maestria nell’arte del canto e della migliore tradizione musicale napoletana l’opportunità di contendere nel teatro di Haymarket a Georg Friedrich Haendel la supremazia nell’opera seria presso il pubblico aristocratico inglese, così come propriamente espressa e  sviluppata dalla scuola musicale napoletana. A Londra all’impresa del Porpora si sarebbe unita la inarrivabile maestria dell’evirato cantore Farinelli, ormai universalmente affermato ed applaudito sopranista, dopo il suo passaggio a Vienna dove ebbe addirittura un memorabile incontro e colloquio con l’imperatore Carlo VI.

Haymarket Theatre, London

Anche se la conclusione a Londra, nella seconda metà degli anni Trenta, della presenza di Porpora e di Farinelli rivela in qualche modo la vittoria di Haendel nella tenzone musicale.

La strada per la scuola musicale napoletana in Inghilterra era ormai spianata per i decenni a seguire del Settecento, tanto da costituire un modello di riferimento per compositori come Thomas Arne, tra i maggiori interpreti del melodramma metastasiano in terra inglese.

Non è di poco conto osservare allora che Charles Burney, considerato il primo tra i moderni storici della musica propriamente intesi, nonostante l’ammirazione per Haendel e il suo stesso discepolato dal sassone, abbia assunto la convinzione dalle esperienze dei Porpora e dei Farinelli maturate nella sua terra, insieme a quelle di molti altri musicisti napoletani ospiti all’Haymarket londinese in tutto il corso del Settecento, che la supremazia della musica italiana nell’armonia, nella melodia, nel canto e quindi nell’opera seria non avesse rivali in Europa, neppure in quella Germania che pure poteva vantare giganti dell’arte tonale come Georg Philipp Telemann e Jh. Sebastian Bach, per non parlare di G.F. Haendel, oramai acquisito alla causa artistico-culturale inglese, dopo peraltro il decisivo passaggio con maturazione stilistico-espressiva a Roma a Napoli e a Venezia.

E a proposito di Haendel, va osservato che il sassone al fine di ritagliarsi a Londra uno specifico autonomo campo di espressione musicale in cui non dovesse temere concorrenza né da parte dei molti compositori italiani né dai (pochi) conterranei germanici, preferì nell’ultimo quindicennio della sua esistenza dedicare pressoché tutte le energie compositive all’Oratorio, riannodando il filo rosso di questa ispirazione formale avviato con la rilevante esperienza de La Resurrezione a Roma nel 1708, a contatto e in competizione con Arcangelo Corelli, ma soprattutto e in particolare con altri due esponenti di scuola napoletana, il vecchio Alessandro Scarlatti, primo insegnante del Farinelli a Napoli e grande interprete del genere oratoriale, e di Domenico Scarlatti.

A Niccolò Porpora che, come abbiamo visto, ritroveremo a Vienna negli anni Cinquanta maestro iroso di J. Haydn, tra la fine degli anni Quaranta e l’inizio degli anni Cinquanta, subentrerà nel cuore del Poeta Cesareo un altro eminente musicista di scuola napoletana, della seconda generazione dopo i Vinci, Feo, Sarro, Pergolesi e Leo, quel Niccolò Jommelli che Metastasio si affretta a raccomandare a Farinelli, ormai dominus alla corte di Madrid – insieme, guarda caso, a Domenico Scarlatti –degli spettacoli musicali e dell’opera seria, padrone degli affetti di Barbara di Braganza e del marito Ferdinando VI di Borbone.

Teatro del Buen Retiro, Madrid

Nello stessa lettera del 12 novembre 1749 in cui Metastasio da Vienna sta definendo con Farinelli a Madrid l’invio per terra e per mare di una muta di ben 16 grandi cavalli Lichtenstein destinati alla corte dei sovrani di Spagna e al primo ministro Ensenada, con tutta la sua autorità di Poeta Cesareo conferisce al musicista di Aversa una sorta di patente quale compositore di livello europeo:

Corrado Giaquinto, Farinelli

Già che vi è carta e che ho scritto sì poco [in realtà Metastasio, in vena di autoironia, aveva scritto una lunghissima lettera piena di avvertimenti tecnico-logistici per la spedizione dei cavalli da Vienna a Madrid, n.d.r.], vi applicherò qui una notizia, non una raccomandazione. Sappiate che ha composte qui due Opere mie un maestro di cappella napolitano chiamato Niccolò Jomelli, uomo di trentacinque anni in circa, di figura sferica, di temperamento pacifico, di fisionomia avvenente, d’ottime maniere e di costume amabilissimo. Egli mi ha sopreso. Ho trovato in lui tutta l’armonia del Sassone [Metastasio si riferisce a Jh. A. Hasse, al quale da poche settimane, in ottobre, ha commissionato a Dresda la messa in scena dell’Attilio Regolo, intonato dallo stesso musicista, insieme ad un suo memorabile piano di regia teatrale, n.d.r.], tutta la grazia tutta l’espressione e tutta la fecondità del Vinci. Presentemente è corso a Venezia a mettere in iscena il mio Ciro, e torna subito in Vienna per far l’istesso servizio alla Didone; oltre di che è fermato per l’anno venturo a comporre due opere per questo teatro. Voi ne avrete certamente notizie altronde, ma è bene che ne sappiate anche il mio voto. Mi pare ch’egli desideri di farsi sentire in Spagna. Se mai vi occorre, io vi assicuro che vi farà onore. Egli verrà, se lo volete, per un anno o per due: oltre le sue opere che farà di nuovo, non avrà difficoltà d’accomodar quelle opere vecchie che vorrete: e, se vi trovaste più comodo a farlo scrivere e mandare le sue composizioni, come si è fatto con Leo, accetterà parimente il partito. Insomma è pasta da dargli quella forma che si vuole. Fate uso della notizia, che non è raccomandazione, e non esigge risposta ostensibile. Addio, caro gemello, non ne posso più per oggi. (Lettera a Carlo Broschi Detto Farinello – Madrid, Vienna 12 Novembre 1749, in P. Metastasio, Tutte le Opere, a cura di B. Brunelli,  Voll. I-V, Milano, Mondadori, 1943-954, III, pp. 444-5.

Alla non-raccomandazione di Metastasio, Farinelli avrebbe immediatamente dato seguito facendo mettere in scena nell’ordine a Madrid per i suoi amati regnanti queste opere del Cesareo messe in musica dallo Jommelli: Demetrio, il 23 settembre 1751 al Teatro del Buen Retiro, Didone abbandonata, esattamente l’anno seguente, 1752, ed infine nel 1753, sempre per il compleanno di Ferdinando VI, Semiramide riconosciuta. Va peraltro ricordato che già nel 1750, Metastasio inviando a Madrid  insieme ai 16 cavalli Lichtenstein anche il libretto dell’Attilio Regolo coltivava la speranza che fosse Jommelli a metterlo nuovamente in musica, dopo l’Hasse a Dresda, per una rappresentazione alla corte di Spagna. I sovrani spagnoli, e Barbara di Braganza in particolare, per motivi di opportunità politico-culturale, essendo il dramma del Cesareo un’evidente esaltazione dell’ispirazione etico-politica del defunto Carlo VI Asburgo, non ritennero di dare seguito al suggerimento, e preferirono esprimere il loro apprezzamento e la loro riconoscenza inviando a Metastasio un sontuoso brillante, consentendo inoltre ben volentieri che Niccolò Jommelli mettesse in musica altri drammi di Metastasio a Madrid, rielaborati per l’occasione dallo stesso poeta e curati dalla sapiente direzione registico-teatrale di Farinelli. Nella triangolazione Vienna-Madrid-Napoli, protagonisti Metastasio-Farinelli-Jommelli, va notata nel 1757 la nuova intonazione della Nitteti di Metastasio al S. Carlo con le musiche di Niccolò Piccinni in collaborazione con Gioacchino Cocchi, il maestro di Andrea Luchesi, dopo la prima rappresentazione assoluta del dramma a Madrid il 23 settembre del 1756 con la musica di Nicola Conforto. Sulle musiche del Cocchi, peraltro ascoltate a Vienna per altre composizioni, Metastasio avrebbe espresso nel suo epistolario un giudizio quasi entusiastico.

Si può quindi sostenere che l’ottima considerazione in cui ormai è tenuta la composizione musicale di Niccolò Jommelli, alle corti di Vienna e di Madrid, con il dichiarato esplicito ed entusiastico parere di Metastasio abbia influito nella decisione del duca Carl Eugen di Württemberg di nominare il musicista di Aversa come kapellmeister a Stoccarda (e poi a Ludwigsburg) dal 1° gennaio del 1754, dopo averlo incontrato a Roma nella veste di maestro della Cappella Giulia in S.Pietro e averne ammirato le musiche oratoriali nella chiesa dei tedeschi di S. Maria dell’Anima.

A Stoccarda e a Ludwigsburg per oltre tre lustri Jommelli avrebbe esercitato un’influenza di rilievo, universalmente riconosciuta, su tutta la produzione musicale del centro Europa, tanto da essere raggiunto, fra gli altri desideranti visitatori, il 6 luglio del 1763 da Leopold e Wolfie Mozart – allora prodigioso musicista di sette anni che riuscì ad eseguire nella casa di Jommelli, alla presenza del maestro, insieme alla sorella Nannerl, un piccolo concerto. Ottenne da Jommelli soltanto tiepide approvazioni e una breve lezione, cosicchè il padre potrà scrivere ad un amico: «Il sommo Jommelli è talmente prevenuto contro la musica tedesca che si è molto stupito di come un bambino austriaco possa avere un simile genio musicale, tanto spirito e tanto ardore».

Ludwisgburg, Castello dell'Elettore

Sette anni dopo nel 1770, Wollfie Mozart a 14 anni, nel suo viaggio in Italia passava per Napoli ed assisteva alla rappresentazione di Armida abbandonata al S. Carlo con le musiche di Jommelli, che tornava definitivamente a Napoli dopo avere rinunciato forzatamente, a seguito del deterioramento dei rapporti con il duca Carl Eugen, alla carica di maestro di cappella a Stoccarda e a Ludwigsburg. W.A. Mozart in qualche modo così ricambiava la tiepida accoglienza di 7 anni prima con questo giudizio sulla musica dell’aversano:

«È bella - scrive Wolfgang in una lettera al padre datata 7 giugno 1770 -  ma ben troppo dotta, e antiquata, per il teatro».

L’arrogante sicurezza ante-litteram di tale giudizio senza appello riguardo al maestro di Aversa parrebbe essere sottolineata dalla messa in musica dell’Oratorio di Pietro Metastasio, Betulia liberata, che W.A. Mozart compose l’anno dopo nel 1771 in gara con altri due musicisti a seguito della committenza dei nobili padovani che invitarono, oltre al giovane salisburghese, Giuseppe Callegari e il ceco Josef Myslivecek.

L’Oratorio, però, non venne eseguito né allora per la Quaresima del 1772 e neppure nel corso dei decenni successivi, tanto che nel 1784 Wolfie richiese l’invio a Vienna del manoscritto al padre Leopold che lo aveva conservato in casa a Salisburgo, mentre, stranamente, la partitura di Myslivecek, non è mai stata trovata.

Wolfie aveva conosciuto a Bologna nel 1770 Myslivecek, aveva stretto con lui una sincera amicizia, ricevendo dal compositore praghese sincere espressioni di affettuosa stima per il rimarchevole talento messo in mostra.

Joseph Myslivecek

Il praghese acconsentiva volentieri alle richieste per lettera di Leopold Mozart di consigliare e seguire il figlio nella difficile arte della composizione musicale.

Niccolò Jommelli si era, a sua volta, già cimentato con l’intonazione della metastasiana Betulia liberata nel lontano 1743 a Roma su committenza della Congregazione di San Filippo Neri –  (replicata poi fino al 1785 ben 15 volte in Italia e a Praga) –,  così da far ritenere non del tutto infondato il sospetto che il giovane W.A. Mozart abbia ricevuto sotto forma di sapiente ammaestramento compositivo proprio da Myslivecek la partitura della Betulia – andata misteriosamente perduta – dalla quale, quanto meno, dovette prendere forte ispirazione per condurre a compimento la rivalsa nei confronti di Jommelli e mettere su carta, cioè in forma musicalmente irreprensibile e perfetta, la trasformazione dell’Oratorio in una vera e propria rappresentazione teatrale di argomento sacro.

Di queste vendette e rivalse incrociate le vicende dei compositori della Wiener Klassik (e non soltanto di questi)  è piena la storia della musica del XVIII secolo, specie nei confronti dei compositori della scuola napoletana mal sopportata dai musicisti di lingua e nazionalità tedesca, indispettiti dalla incontrastata presenza dei primi in tutte le corti d’Europa, ed in qualche modo anche verso lo stesso Metastasio se ricordiamo che ancora W.A. Mozart per risolvere a suo favore la crisi politica, economica ed artistico-culturale a Vienna, scatenatasi con l’ascesa al trono imperiale di Leopoldo II dopo la morte improvvisa del fratello Giuseppe II, dovette decidersi a «ridurre a vera opera»  La clemenza di Tito (con l’aiuto del librettista Caterino Mazzolà), al fine di essere ammesso all’incoronazione del nuovo imperatore a Praga e a Francoforte, così da riottenere, grazie all’emblematica clemenza metastasiana quale attribuzione etico-politica propria degli Asburgo, i perduti favori della corte viennese per gli sprechi, le malversazioni e gli intrighi subiti dai teatri di corte, tutte colpe imputate a Da Ponte, Salieri e allo stesso Mozart durante il governo di Giuseppe II.

Sappiamo che pochi mesi dopo l’infruttoso tentativo con la rappresentazione a Praga della Clemenza di Tito il 6 settembre del 1791, ridotta dal Mazzolà in due atti, il 5 dicembre dello stesso anno, Mozart terminava la sua esistenza, vittima della bastonatura, andata oltre il segno, comminatagli da sicari inviati da Franz Hofdemel, funzionario di tesoreria degli Asburgo, compagno della stessa loggia massonica il cui dominus era stato lo stesso imperatore Giuseppe II. Dal suo canto Costanza Weber, moglie di W.A. Mozart, assente da Vienna mentre il marito moriva, continuava a sfruttare le sue opere musicali,  sia quelle autenticamente composte sia quelle a mala pena iniziate, come il Requiem, quasi completamente scritto dall’allievo Sussmayr e da Eybler.

 Antonio Salieri, coinvolto anch’egli in parte nell’emarginazione dalla vita e dai ruoli artistici a corte, dopo la condanna all’esilio di Lorenzo Da Ponte e lo scandalo della morte di Mozart, sopito e segretato da Gottfried van Swieten, consigliere di Leopoldo II, non solo continuava ed accresceva la funzione di trasmettere al mondo musicale del nuovo classicismo viennese la poesia e l’opera seria di Pietro Metastasio, al cui culto si era d’altronde incamminato già con l’arrivo a Vienna al seguito di Florian Gassmann nel lontano 1766, ma si incaricava di curare l’educazione e la formazione musicale di Carl Thomas Mozart, raccogliendo così nell’agire reale della vita l’eredità dell’etica dei valori e delle eroiche virtù rappresentate dalla poesia per il teatro musicale di Metastasio come beneficio educativo per i comuni mortali e regole universali per l’esercizio del potere da parte dei Sovrani assoluti dell’Europa del XVIII secolo.

Napoli, 31 ottobre 2014                                         Mario Valente

 

 

 

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