MARIO VALENTE

Omaggio a Roman Vlad
(Ĉernowitz, 29 dicembre 1919-Roma, 21 settembre 2013)

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Il fascino indiscreto della vita come arte

Pochi musicisti e pochissimi intellettuali e personaggi della cultura italiana hanno esercitato nella storia degli ultimi settanta anni il fascino e un ruolo sociale rilevante come Roman Vlad.

Superfluo osservare che la capacità di influenzare con indubbie doti carismatiche il pubblico dei colti, e il riconoscimento sociale di un’onestà intellettuale e morale assolutamente adamantine e disinteressate,  ha costituito quella pressoché perfetta capacità di attrazione su molte generazioni così da consentire al compositore di origine romena una lunga durata sulla scena molto difficile e complessa della storia culturale del nostro paese.

Che la scena culturale dell’Italia fosse già alla fine degli anni Trenta particolarmente difficile e complessa per i musicisti e i compositori dotati, per sovrammercato, di spiccati interessi di sperimentazione di nuove forme espressive e formali è cosa ben nota agli Italiani che dall’inizio degli anni Venti del Novecento videro pressoché eclissarsi dall’orizzonte di ogni livello dell’insegnamento scolastico l’apprendimento della musica – relegata esclusivamente all’attività marginale ed elettiva dei Conservatori, privando peraltro questi dei riconoscimenti giuridici dei titoli di studio rilasciati – grazie alla riforma Gentile, che portò a compimento l’esclusione dell’arte tonale già decretata da Benedetto Croce nella breve esperienza di quest’ultimo come Ministro della Pubblica Istruzione.

Cionondimeno, quando nel 1938 Roman Vlad decise di abbandonare Ĉernowitz e l’Europa orientale scelse proprio Roma come patria elettiva per i suoi studi di perfezionamento in composizione e pianoforte.

«Certamente sarei potuto andare a Parigi – amava raccontare Vlad – ma lì dominava ancora la figura di Darius Milhaud, oramai in una fase creativa e formale definita e conclusa. Ero anche riuscito a farmi accogliere alla scuola di perfezionamento di Anton Webern a Vienna, ma alla fine rinunciai a questa possibilità a causa della sottomissione dell’Austria alla Germania nazista, mentre a Roma avrei potuto seguire i corsi di Ingegneria ed iscrivermi, al tempo stesso, ai corsi di perfezionamento di Alfredo Casella che dedicava tutte le sue energie di grande didatta della musica e di compositore alla scoperta e all’esecuzione delle nuove musiche, da Mahler allo Schoenberg del Pierrot Lunaire, da Glazunov e Honegger all’Histoire du Soldat di Stravinskij, senza tralasciare, anzi perseguendo con la stessa passione e costanza, il recupero della grande tradizione musicale italiana del Settecento, dagli Scarlatti a Vivaldi a Pergolesi».

Il fascino delle iniziative musicali condotte da Alfredo Casella in condizioni il più delle volte ostili a causa del conformismo culturale e dell’assuefazione sociale ad un ruolo residuale ed elitario della musica dovette esercitare l’influenza decisiva sull’animo libertario del giovanissimo Roman Vlad.

Appena arrivato al Conservatorio di Santa Cecilia Vlad scoprì che le iscrizioni alle lezioni dei corsi di perfezionamento erano purtroppo chiuse. Il suo disappunto per non potersi iscrivere ai corsi, mentre recava sotto braccio parti e partiture delle ultime composizioni di Stravinskij, fu immediatamente notato da Casella nei corridoi del Conservatorio. Casella volle chiedergli i motivi del suo evidente disagio e da quali luoghi del mondo provenisse. Conosciuti sia i motivi delle lamentele del giovane musicista sia che egli era originario della Romania, Casella gli raccontò di avere un grande debito di riconoscenza con un suo grande connazionale, il compositore e violinista George Enescu, e dopo avere saputo da Roman Vlad quali partiture avesse con sé, invitatolo ad eseguirne al pianoforte alcuni pezzi sinfonici di Stravinskij dinanzi agli altri docenti del corso di perfezionamento, tra i quali vi era Pierfrancesco Malipiero, rimasti tutti favorevolmente colpiti dalla maestria e dal temperamento del giovane musicista, Casella gli prospettò la soluzione di accoglierlo quell’anno come uditore straordinario  ai corsi di perfezionamento in composizione e pianoforte con la prospettiva che l’anno seguente la sua partecipazione ai corsi come perfezionando ordinario sarebbe stata regolarizzata.  Da quel momento, siamo nell’autunno-inverno del 1938, i rapporti tra l’allievo e il maestro divennero sempre più intensi, e pochi anni dopo, nel 1941, Roman Vlad concludeva brillantemente i corsi di perfezionamento sotto la guida e gli insegnamenti di Alfredo Casella...con il placet, anche questo favorito dallo stesso Casella, di Ildebrando Pizzetti, direttore dei corsi, la cui didattica della forma musicale risultava estranea agli interessi artistici che il giovane compositore romeno sentiva di coltivare e approfondire nei suoi studi al Conservatorio di Santa Cecilia.


George Enescu

Questo racconto è solo uno tra le prime molte narrazioni che debbo alla viva voce di Roman Vlad in oltre tre lustri di consuetudine di rapporti professionali e di amicizia, quale vera e propria opportunità a cui il maestro volle ricorrere per farsi conoscere da chi gli aveva proposto nella primavera-estate del 1996 di contribuire alla non semplice né facile impresa di dare vita alle manifestazioni per le celebrazioni in occasione del 3° Centenario della nascita di Pietro Metastasio.

Il senso e il significato del ricordo dell’approdo di Roman Vlad, non ancora ventenne, nel 1938, nella Roma fascista che aveva quello stesso anno messo al bando con le leggi razziali la numerosa popolazione italiana di origine ebraica, condannandola prima all’emarginazione sociale sotto il regime di Mussolini, poi alla deportazione, allo sterminio e alle orribili persecuzioni che sarebbero seguite nel biennio 1943-1944 durante l’occupazione nazista di Roma e dell’Italia, è parte integrante ed indissolubile con la scelta di promuovere tutta la vita la musica, recuperarne la fondamentale valenza artistico-creativa combattendo strenuamente affinchè l’intera tradizione musicale della cultura occidentale potesse essere studiata ed eseguita senza più le restrizioni e i limiti imposti da preclusioni classiste e pseudo-elitarie nella trasmissione di questo sapere e di questa arte.

A questi profondi convincimenti – la musica come espressione della libertà creativa incoercibile dell’essere umano coerentemente e indissolubilmente legata alle primarie condizioni generali dei diritti dell’uomo all’autonomia ed indipendenza nel lavoro e nella sicurezza sociale e politica – ritengo si debba la decisione di Roman Vlad di dedicarsi, pur avanti negli anni, alla causa della valorizzazione della figura e dell’opera di Pietro Metastasio, la cui poesia per il teatro musicale del XVIII secolo, dopo un lungo periodo di pubblico oblìo, a causa dell’ignoranza dei suoi testi, l’incomprensione di tanta parte del ceto dei colti, e i travisamenti del nazionalismo dell’Italia risorgimentale, poteva finalmente riassumere quel ruolo determinante conseguito nel corso del secolo dei Lumi e sviluppatosi anche nei secoli successivi come esemplare costruzione poetico-drammatica, nella lingua italiana, per le musiche dei più rilevanti compositori della nostra tradizione europea, da Vivaldi ad Hasse, da Porpora a Leo Vinci e Pergolesi, da Jommelli a Traetta, da Haendel a Mozart, da Johann Christian Bach a Haydn, da Salieri a Beethoven, Schubert e Meyerbeer, da Cimarosa a Paisiello, da Mercadante a Glynka, su su fino a Nino Rota e a Gianfrancesco Malipiero nel Novecento.

Credo anche che l’avere messo a disposizione, disinteressatamente, la casa natale di Pietro Metastasio in via dei Cappellari a pochi metri da Campo de’ Fiori, dopo averla fatta restaurare, abbia avuto la sua parte nel convincere Roman Vlad che forse non tutto era perso in Italia per la causa della cultura e della musica, soprattutto.

Con una felicissima quasi aforistica definizione, in un articolo di presentazione su un quotidiano romano del programma celebrativo del 3° Centenario della nascita di Metastasio,  Roman Vlad disse: «Grazie a Metastasio, tutto il mondo del Settecento parlò italiano». Ed in privato, entrambi, con facile pessimismo, chiosavamo che la lingua italiana di Metastasio – per altro splendida nella sua icastica chiarezza e studiata semplicità – era stata la prima ed ultima occasione per il nostro idioma di affermarsi come espressione universale della comunicazione artistica e sociale.

Nessun italianista del vasto mondo accademico del nostro paese, in Europa e d’oltre Oceano, è riuscito a rendere in forma così sintetica e compiuta, il valore insostituibile della poesia per il teatro drammatico-musicale di Pietro Metastasio nella tradizione culturale occidentale.

Nel novembre 1997, in occasione dell’inaugurazione di Palazzo Altemps come Museo archeologico di Roma, Roman Vlad riusciva a fare eseguire la festa teatrale La contesa de’ Numi composta da Pietro Metastasio, e messa in musica da Leo Vinci nello stesso palazzo, allora sede dell’ambasciatore di Francia Melchior de Polignac, nel quale versi e musiche erano risuonate la prima volta nel novembre 1729 per festeggiare la nascita dell’erede al trono di Luigi XV.

Il Comitato Nazionale che avevo fatto costituire nel 1996 con un Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, ai sensi della Legge n. 420 del 1994, insediato nelle sue funzioni alla fine del 1996 da Walter Veltroni, allora V. Presidente del Consiglio e Ministro per i Beni e le Attività Culturali, era in attesa dell’erogazione degli strumenti finanziari, previsti dalla Legge, per dare corso alle manifestazioni scientifiche ed artistiche secondo il programma che avevo elaborato, poi messo in votazione ed approvato dai componenti del Comitato stesso.

Per ovviare alla fase di stallo burocratico, Roman Vlad, succeduto all’italianista Prof. Sergio Romagnoli, immaturamente venuto a mancare nel febbraio 1997, alla Presidenza del Comitato Nazionale per le Celebrazioni del 3° Centenario della nascita di Metastasio, informato che nella Biblioteca di Palazzo Altemps era stato ritrovata una copia settecentesca originale della festa teatrale La contesa de’ Numi (Metastasio-Vinci) e che l’edizione critica del libretto sarebbe stata pubblicata, unitamente alla storia della importantissima collezione di statue antiche presenti nello storico edificio, dai suoi amici Enzo e Benedetta Crea presso la loro prestigiosa casa editrice de l’Elefante, suggerì all’Enel, curatrice del restauro e dell’illuminazione di Palazzo Altemps, di inaugurare la sede del nuovo Museo Archeologico di Roma con l’esecuzione, la prima volta in epoca moderna, della Festa teatrale La contesa de’ Numi con il complesso orchestrale Concerto italiano diretto dal Maestro Rinaldo Alessandrini. Lo stesso Vlad avrebbe introdotto – così come fece – l’esecuzione concertistica con una lectio magistralis sulla riforma del melodramma di Metastasio accompagnandola con esempi musicali, da lui eseguiti al pianoforte, sullo stile del compositore Leo Vinci in questa Cantata a sei voci.

Il successo di pubblico e di critica all’evento oltre a richiamare l’attenzione del pubblico romano sul poeta della città eterna chiamato a Vienna dall’imperatore Carlo VI d’Asburgo come Poeta Cesareo nel 1730 – pochi mesi dopo l’esecuzione de La contesa de’ Numi a Palazzo Altemps – non solo spinse l’Enel a promuovere la replica dell’intera Festa teatrale nell’estate del 1998, ma consentì il recupero della musica di Leo Vinci, uno tra i più importanti musicisti, peraltro raramente eseguito, della scuola napoletana tra Sei e Settecento, capace di esaltare in modo impareggiabile il singolare rapporto tra metrica musicale e prosodia poetica così da rappresentare per Pietro Metastasio quell’intesa perfetta tra le due arti raggiunta attraverso la riforma del melodramma italiano ed europeo. Leo Vinci, infatti, insieme a Johann Adolf  Hasse e Niccolò Jommelli, fu il compositore più amato da Metastasio per la sua sensibilità e maestria nell’intonare i versi del poeta cogliendone e rafforzandone il senso e i significati drammatico-affettivi.

Il ghiaccio si era sciolto dopo la prima esecuzione a Palazzo Altemps, ed io, in gara virtuale e virtuosa con Roman Vlad, proposi al Comune di Roma di ospitare in Campidoglio nella Sala della Protomoteca dinanzi al busto di Pietro Metastasio realizzato da  Giuseppe Ceracchi nel 1787, la presentazione dell’intero programma celebrativo per il 3° Centenario della nascita del poeta avvenuta in Roma il 3 gennaio del 1698.

Il 12 dicembre 1997 con le relazioni di Roman Vlad, Mario Valente, Giulio Ferroni, Elena Sala Di Felice,  Giovanna Gronda, Pierluigi Petrobelli, e Bruno Cagli veniva presentato al pubblico, alla presenza di Gianni Borgna, assessore alla cultura del Comune di Roma, il programma delle manifestazioni celebrative con il titolo, Pietro Metastasio Poeta dell’Unità culturale europea.

Da sinistra: Giulio Ferroni, Roman Vlad, Gianni Borgna, Mario Valente

Nell’occasione, a titolo esemplificativo del ruolo assolto nella storia della musica del XVIII secolo dalla poesia di Metastasio, vennero eseguite in forma di Concerto parti delle Sinfonie e Arie composte da Vivaldi, Leonardo Leo, Pergolesi e W.A.Mozart, Arie dai melodrammi metastasiani: L’Olimpiade, Didone abbandonata, Ezio, Artaserse, Demofoonte. L’orchestra “Roma Symphonia” formata da una cooperativa di giovani musicisti, diretta dal Maestro Giovanni Pelliccia e con la direzione artistica del critico e pianista Valerij Voskobojnikov, diede vita alla prima delle molte produzioni concertistiche e teatrali che il Comitato Nazionale promosse e curò direttamente nel corso degli anni seguenti a Roma, Napoli, Venezia e Vienna, ripercorrendo l’itinerario esistenziale ed artistico di Pietro Metastasio.

Roman Vlad, esponendo la sua relazione nella Sala della Protomoteca con tutta l’icastica sintetica chiarezza dei suoi giudizi comunicò al pubblico perché fosse essenziale per la cultura italiana, non già una mera ritualistica occasione, celebrare l’opera e la figura di Metastasio:

Da sinistra: Roman Vlad, Gianni Borgna, Mario Valente

«Il 3 Gennaio 1698 nasceva a Roma Pietro Trapassi. Era destinato col cognome tramutato in Metastasio a vivere mezzo secolo alla Corte imperiale di Vienna come ‘Poeta Cesareo’. Ma fu più di questo. Fu il poeta per eccellenza per la musica. Riuscì a fare della musica, che non ha bisogno di parole per essere compresa, il veicolo ideale della nostra lingua. Cosicchè fu principalmente per suo merito se per quasi tutto il Settecento e oltre, la musica occidentale parlava italiano. L’Europa ne derivò uno dei più significativi momenti di unità culturale.

       I suoi 23 ‘drammi musicali’ ed altri innumerevoli testi, azioni sacre e  feste musicali, venivano intonati decine e decine di volte: La Didone abbandonata più di sessanta, l’Artaserse addirittura più di ottanta. Gareggiavano a comporre i suoi testi non solo tutti i maggiori musicisti italiani del Settecento, da Vivaldi a Pergolesi, da Porpora a Paisiello, ma pure i maggiori compositori d’oltr’alpe quali Haendel, J. Ch. Bach, Gluck, Haydn e Mozart. Ed ancora Beethoven e Schubert si formarono esercitandosi nella composizione dei testi metastasi ani.

       Onorandolo in occasione del 300° anniversario della sua nascita l’Italia non compie solo un dovere verso la personalità di Metastasio, ma verso la propria tradizione, verso il proprio patrimonio culturale più peculiare».

(segue…) 

Roma, 29 dicembre 2013                                      Mario Valente

 

 

 

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